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Consuetudini e gabbie mentali

Una settimana fa ho iniziato l’università e ho deciso di seguire le lezioni di diritto internazionale. Una delle prime nozioni che abbiamo appreso è che la prima fonte di norme è la consuetudine. Cos’è la consuetudine? È un comportamento che si ripete reiteratamente nel tempo, ritenendo che sia giusto e necessario.

È consuetudinaria anche la nostra vita: ci creiamo delle abitudini e dei modi di fare che permettono di distinguere tra situazioni che sono “da noi” e altre che non lo sono.

Le consuetudini non sono negative di per sè. Ci aiutano a orientarci nell’infinita possibilità di scelta (come ci insegna il vecchio Kierkegaard), ci aiutano a tracciare una linea di condotta. Di fronte a una situazione potremmo potenzialmente reagire in qualunque modo: decidiamo quindi di farlo nella maniera che ci fa sentire più a nostro agio, che diventa il nostro modo di essere.

Agli occhi degli altri, e soprattutto agli occhi di noi stessi, è così che nascono le etichette. Mi sono sentito sopraffatto da quella festa chiassosa? Devo essere un introverso. O invece mi sono sentito pieno di energie in mezzo a tutta quella gente? Allora sono un estroverso. Il problema delle etichette è che sono armi a doppio taglio: ovviamente ne abbiamo bisogno perchè altrimenti non avremmo una vaga idea di chi siamo, ma non dobbiamo farci ingabbiare. Nel 2018 è bell’è superata la dicotomia introversione/estroversione e sappiamo che è uno spettro fatto di eccezioni.

Sì, perché se da un lato è vero che noi umani abbiamo delle abitudini, dall’altro abbiamo anche il concetto dell’ “eccezione che conferma la regola”. Quindi, l’introverso di turno  avrà un momento di estrema estroversione quando scoprirà che il suo artista preferito farà tappa in Italia. E potete giurarci che non avrà più alcun timore a parlare con gli estranei pur di raggiungere il suo obiettivo. Non sarà un comportamento “da lui/lei”, ma a quanto pare è proprio l’eccezione che conferma la regola.

Le consuetudini però possono diventare obsolete, e noi dobbiamo fare qualcosa per accorgercene, altrimenti rischiamo di perdere tempo con cose che non ci interessano più. Oppure di scartare cose interessanti solo perché diamo per scontato che, non essendoci piaciute in passato, non possono piacerci adesso.tumblr_okt76thqgQ1vkadpmo1_500Alcune consuetudini sono più facili da infrangere. Altre, quelle che soprattutto hanno a che fare con i legami personali (e l’orgoglio) un po’ meno. Bisogna pensare alle abitudini come a delle gabbie: di alcune abbiamo lasciato la porta aperta e possiamo uscire dalla confort zone quando vogliamo. Di altre possediamo la chiave e se volessimo, potremmo cambiare abitudine (certo che ho della frutta in frigo, è che scelgo di non mangiare più sano).

Altre gabbie/abitudini, invece… Beh, funzionano come dice il nome stesso. Queste sono le vere stronze, le cattive abitudini in cui ci crogioliamo. Ma non è colpa nostra se lo facciamo: abbiamo le nostre ragioni, o le avevamo, in passato. Il problema è che ci siamo aggrappati ad esse, elevandole a nostro stendardo. Trasformandole in pilastri su cui costruiamo alcuni aspetti della nostra vita.

Un esempio di una gabbia/abitudine del genere è il rancore che possiamo serbare per anni. Quell’amico che non ci ha mai chiesto per primo di uscire (e quindi neanche io glielo chiederò più. Ci sto male, ma… non posso essere sempre io la scema, no?). Il genitore che non si è interessato di noi (e no, non mi importa che io non ho abbia chiesto della sua giornata. Il punto è che lui/lei non ha mai chiesto della mia).

È tutto molto illogico, visto dall’esterno, ma è umano. Se siamo arrabbiati, non possiamo controllarci, né essere giusti nei confronti degli altri. Altrimenti non saremmo arrabbiati.hhhCosì il rancore, l’ingiustizia, l’insoddisfazione che abbiamo provato una volta si trasformano in abitudini. E la verità è che siamo noi stessi a volerlo, più o meno consapevolmente. Speriamo che quell’amico declini il nostro invito a uscire solo perché così possiamo provare a noi stessi che “ecco, è lui l ingrato, io sto facendo la mia parte”. E per quanto vorremmo che il nostro genitore ci chieda di noi, rigettiamo l’idea di aprirci a loro perché “non funziona così tra noi”.

Questo tipo di gabbie, non possiamo aprirle da soli: abbiamo bisogno di un occhio esterno per distanziarci dalle abitudini che ci impediscono di fare, dire, reagire come ci pare adesso, e non in virtù del passato. (Al momento mi sento profonda attaccata da tutto ciò che io stessa sto scrivendo lol)

Dobbiamo resettare. Orribile, vero? Cambiare direzione per capire da dove soffia il vento. Per tutto questo tempo abbiamo creduto di sentire il vento in faccia, quando invece aveva cambiato direzione.

Non è una bella sensazione, cambiare la direzione che abbiamo seguito per tutto questo tempo. Anche quella è una comfort zone, per quando ci provochi sconforto per tutti i sentimenti negativi a cui si ispira.

Abbiamo bisogno che altri ci pongano le giuste domande, e quelle sfortunate persone saranno oggetto della nostra seccatura (ehi, ho detto che volevo un consiglio, ma era implicito il fatto che fossi d’accordo con me!).

 

Una volta in cui mi stavo lamentando di quanto mia madre fosse irragionevole nel continuare ad arrabbiarsi per mie mancanze del passato, un mio amico mi ha detto “ma… tu ti stai comportando allo stesso modo, non credi?”. E io sono rimasta lì, sentendomi un pochino tradita da quelle parole, perché non mi era stata data ragione. E come in un moment of consciousness ho pensato “o mio dio, è vero”. Dal mio amico volevo una risposta che fomentasse il mio rancore e che lo giustificasse come lo giustificavo io… invece ho trovato un grande segnale di alt.

Questo non significa che dal giorno successivo ho trovato una soluzione ai conflitti famigliari o che metterò una pietra sopra su tutto il passato. Ma quando il conflitto accade… si, va bene, magari ci ricasco. Devo ancora imparare. Ma la vedo. Adesso vedo quella stronza di abitudine, lì, piccolina nel suo angolino di cervello. È già un passo.

Breccia è stata fatta. La gabbia/abitudine è stata aperta, ma solo chi c’è dentro può decidere di uscire. Creeremo una nuova consuetudine con più eccezioni e più libertà, magari con l’orgoglio un po’ ferito.tumblr_ofrtic8GV81tsd4fto1_500

Cresciamo affettuosamente legati alle nostre abitudini, al punto da considerare quelle abitudini non-così-buone come giuste e familiari, trasformandole in pilastri per la nostra vita. Bene, adesso mettete alla prova a vostra casa, permettete  di indicarne le crepe (con rispetto, eh). La soluzione sarà lunga da trovare, ma per adesso non riuscirete a non-vedere le crepe e a non-considerare l’illogicità di alcuni modi di fare.

 

Alessia

 

 

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Micah e Lete (una storia)

C’è sempre un momento in cui ci si accorge che i propri incubi sono veri, e quello era il suo.

Nella grotta si gelava e l’umido penetrava nelle loro ossa. Dalla volta scendevano le stalattiti, come infinite spade di Damocle sopra le loro teste, che gocciolavano con irritante precisione. Ogni volta che sentiva quel plick! veniva scossa da un brivido di freddo, quasi la goccia avesse colpito lei e non il suolo. Guardando in alto le pareva di scorgere una luce, ma poteva benissimo trattarsi del velo di lacrime appeso alle ciglia, del quale, seppur strizzando gli occhi, non riusciva a liberarsi.

Era stesa a terra, i vestiti macchiati, due dita contro il collo del ragazzo, proprio sotto la mandibola. Stava controllando che ci fosse ancora il battito, seppure fosse debolissimo.

«Tu…» biascicò lui, prendendole delicatamente il polso e allontanandolo dal suo collo. «Tu…» ripeté. «Puoi andare.» Sembrava quasi che le stesse dando una possibilità, ma la conosceva ormai da troppi anni e sapeva che a lei non piaceva che le dessero ordini. Non doveva, poteva, ma questo non cambiava il fatto che lui volesse che lei si salvasse.

Avrebbe voluto ridere, come faceva sempre alle sue proposte assurde, come aveva fatto quando le aveva chiesto di sposarlo, ma in quel momento gli occhi gli si riempirono di lacrime e un gemito scappò da quelle labbra di porcellana, ormai tragicamente pallide.

«Non vado da nessuna parte.» Lo baciò una volta per soffocare il dolore, il suo o quello del ragazzo non seppe dire, ma lui aveva già smesso di lamentarsi. Gli uomini provano vergogna a mostrarsi vulnerabili, ma lei provava vergogna a non sapere cosa fare per aiutarlo.our_windy_meadows_by_laura_makabresku-d71dls6

Abbassò lo sguardo sulla sua maglia intrisa di sangue e fu come se qualcuno le avesse preso a calci lo stomaco, per quanto le faceva male quella visione.

Non volevano salvare nessuno, non volevano fare gli eroi. Volevano solo andarsene da quella città dove ogni minima libertà personale era violata e ogni violazione giustificata. La loro casa era sotto sorveglianza, la loro lista della spesa era sotto sorveglianza, non perché fossero sospetti, ma perché semplicemente la vita andava così.

Erano usciti una mattina e non erano più tornati, erano corsi nel bosco, oltre il vecchio filo spinato che da bambina credeva fosse un cimelio della Seconda Guerra Mondiale. Non sapevano dove andare, ma muoversi dava loro l’impressione di avere un piano, anche se si trattava solamente di raccogliere uova di tortora per fare colazione.

Per la prima volta si erano sentiti liberi e soli, e lei si era resa conto di odiare infinitamente la divisa color senape da insegnante che indossava ogni giorno, al punto che  avrebbe voluto addirittura dare fuoco alla camicetta e andare in giro svestita. E l’avrebbe fatto, se lui non glielo avesse impedito.

«Sei geloso delle tortore, Micah?» lo prese in giro, incrociando le braccia sui bottoni disfatti.

In cuor suo, Micah temeva che avrebbero presto scoperto la loro fuga, e con il senno di poi aveva avuto ragione, ma a dir la verità non aveva abbastanza paura da non restare eccitato da lei. «Sono delle gran chiacchierone.» le soffiò tra i seni, facendole scivolare la camicetta.

Stavano fuggendo, ma era un bel tempo per vivere.

Era Micah ad essere sporco di sangue, lei era illesa, se non si contava il senso di morte in fondo alla gola. Era stato colpito da una pallottola silenziata quando eventualmente li avevano trovati. Aveva fatto appena in tempo a gettarla nel lago per proteggerla quando aveva visto i Guardiani, per questo all’inizio aveva pensato che si trattasse di uno stupido scherzo.

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«Micah, sei un gran—» aveva riso, levandosi le ciocche bagnate dal viso. Ma anche lui era nell’acqua, statico come un fermo immagine e l’unico movimento era il filo rosso che sbocciava dal fianco destro. Per un istante, pensò che se non avesse raggomitolato al più presto quel filo, di lui non sarebbe rimasto che un inutile bandolo. Poi si rese conto che se così fosse accaduto non sarebbe stato semplicemente inutile, ma anche morto.

I Guardiani avevano attaccato anche lei. Nell’acqua risultava più difficile sfuggirgli, ma aveva afferrato i capelli di uno di loro e l’aveva mandato a sbattere su una delle rocce iridescenti del fondale. Non l’aveva ucciso, ma con qualche fortuna l’aveva affogato almeno un po’.

Erano stati trascinati in quella grotta e per miracolo lui riusciva ancora a mettere un passo dopo l’altro. Non avrebbe risposto delle sue azioni se lo avessero sfiorato una seconda volta. Ma l’avevano fatto, quando con un calcio dietro le ginocchia lo avevano gettato a terra e lei aveva quasi potuto sentire l’orribile suono degli organi spappolati.

Adesso si guardava attorno, forzandosi dal distogliere lo sguardo dal sangue: lui non poteva sollevarsi senza che il fiotto di sangue e umori fluisse fuori dalla ferita. I Guardiani li avevano abbandonati lì, ma non a morire di freddo: presto sarebbero tornati e li avrebbero uccisi, come in quelle storie che si raccontano per spaventare i bambini.

«Lete, vai.» protestò, il sangue gli gorgogliava in fondo alla gola. «Lete.» la implorò. Era il suo messaggio in codice.

La chiamava così, l’aveva sempre fatto. «Grazie a te dimentico quanto questo posto faccia schifo.» Ma lei non poteva dimenticarlo e andare avanti, perché quel posto, tutto quanto, faceva schifo, e l’unica dannata cosa bella stava morendo sotto i suoi occhi.

«To die by your side» iniziò a cantare, baciandolo sul collo con la scusa di controllare il battito «is such an heavenly way to die

Il petto di Micah sussultò e Lete si staccò tormentata, ma stava ridendo. «Non è molto di buon gusto, in questo momento.»

«Non è di buon gusto nemmeno che tu muoia prima di me.» protestò, mentre lui tornava ad accarezzarle i capelli castani. Con la coda dell’occhio, vide alcuni movimenti, ma questa volta non si trattava di lacrime, quelle le aveva finite.

Nel momento in cui lui smise di pettinarla, seppe di essere morta.wings_by_laura_makabresku-d70lmaq.jpg

Alessia xx
(un abbraccio virtuale alle 30 persone che mi hanno seguito fino a questo momento. ho deciso di scrivere qualcosa di diverso, di condividere un’altra parte di me – non la scrittura, ma i miei sogni poco normali! tutte le immagini sono di laura-makrabresku)

pedissequo: chi segue passivamente un modello, senza originalità

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Stonata, ma poliglotta?

«Se avessi un solo desiderio, cosa desidereresti?»

Fino a un anno fa avrei risposto «essere almeno un poco intonata» perché, passi “tanti auguri a te”, per il resto del mio repertorio non c’è via di salvezza. Adesso, invece, ciò che desidero veramente è parlare, scrivere e comprendere più lingue, come il francese, lo spagnolo e il giapponese.

Per questo, quando ho avuto la possibilità di frequentare per una settimana la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici a Pisa in men che non si dica ho prenotato l’autobus (per la bellezza di 16 ore di tortura viaggio) e mi sono catapultata a Pisa con il mio bel cartellino da “Visitatore” appeso al collo.

La nostra prima lezione è stata Traduzione audiovisiva (non che il nome spieghi molto): in pratica, sottotitolaggio e doppiaggio di Peppa Pig.

Può sembrare semplice e imbarazzante, ma quando devi tradurre «who buys all this rubbish?» e la prima traduzione che ti viene in mente è «chi compra tutta questa merda?», ma non puoi assolutamente scriverla perchè devi pensare ai bambini!… Lì capisci come anche la traduzione di Peppa Pig non sia poi così scontata.

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Una lezione particolarmente strana è stata Mediazione linguistica orale, ovvero come i traduttori in diretta dei talk show. La generale idea di fare una traduzione del genere era inverosimile soprattutto perché (scientificamente provato) avremmo dovuto usare simultaneamente i due emisferi cerebrali, per ascoltare e tradurre all’istante (o quasi).

Con molta probabilità i miei emisferi sarebbero collassati (ma gli interpreti professionisti possono tradurre simultaneamente solo per mezz’ora, quindi il mio noncollasso è giustificato).

Indossando le cuffie, dovevamo ripetere ciò che la prof leggeva – nel momento stesso in cui leggeva – e contemporaneamente scrivere numeri in ordine decrescente.
Inutile dire che le nostre serie contavano più numeri del dovuto, e neanche nell’ordine giusto 😌

La regina della nullafacenza (Conversazione) si è rivelata invece la lezione migliore in assoluto: nessun innovativo metodo d’insegnamento, solo conversazione. Ma quando a parlare è una persona decente come Beth, ognuno trova un poco di coraggio per dire la sua.

Questa settimana a Pisa ha reso un po’ più possibile il mio famoso desiderio: non so ancora scrivere in giapponese e tutto ciò che capisco quando ascolto il francese è un gorgoglio di erre e in verità non ho alcuna certezza di poter studiare in quella scuola, ma so che potrei realizzarlo. Anche se non frequento un linguistico, anche se ci sono così tante parole che non conosco e che non so nemmeno pronunciare.

Perché ho capito che è quello che vorrei fare: scegliere le parole giuste per tradurre quei libri che ho letto in lingua – libri bellissimi da non smettere di leggerli – e farli conoscere a chi non si sognerebbe mai di leggere in una lingua straniera.

Più semplicemente, sono fan (di un numero spropositato di cose), e so quanto sia importante una buona traduzione: magari potrei essere d’aiuto.

Alessia xx

nottivago: una persona che vaga di notte o che è sonnambulo

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La complicata vita degli etero

tumblr_nhcmtjEgyk1s3dngxo3_1280L’amicizia tra uomo e donna ha tutte le possibilità di esistere. C’è un unico problema: non è quello a cui siamo socialmente abituati. Non fraintendetemi, questo tipo di amicizia esiste eccome, ma è molto spesso accompagnata da un’aura di malizia tutt’altro che involontaria.

Non importa quale sia il vostro genere, basta che portiate con voi un rappresentante del sesso opposto e in men che non si dica vostra madre, un parente qualsiasi, anche il tizio che abita sotto di voi di cui non sapete nemmeno il nome, penserà che si tratti della vostra Anima Gemella.

Se le allusioni possono in alcuni casi essere lusinghiere, in altre situazioni sono profondamente snervanti perché per l’amor del cielo, lasciatemi vivere una semplice amicizia senza farvi film mentali! Dopo un po’ di tempo – dopo che vi avranno estratto a forza la cronistoria del vostro fantomatico partner – lasceranno perdere, ma credete che in questo modo abbiano imparato?

Il problema sta nel fatto che la società non è abituata a svincolare l’abbinamento uomo/donna dall’attrazione sessuale, perché evidentemente un individuo x, dotato di gameti femminili, non può che essere attratto dall’individuo y che le sta di fronte, dotato di gameti maschili.

In fondo al pontile si trovava la guida che li avrebbe condotti al rifugio segreto.
«Assomigli sempre più a tuo padre» ridacchiò quello, aprendo le braccia. Poi adocchiò la sconosciuta oltre le sue spalle «Non sapevo avessi già preso moglie!»
«Moglie? Ah, niente affatto» ribatté lei «noi siamo … »
«Amici»
«Compagni»
«Diciamo conoscenti»
«Giusto»

(esempio di un dialogo molto comune nelle storie alla “odi et amo”. nonostante vada matta per queste storie, non si può negare quanto sia evidente la conclusione per i due personaggi, sin da queste poche battute)

Se a impedire l’amicizia tra uomo e donna è la semplice attrazione fisica, come la mettiamo con chiunque non sia eterosessuale? Tanto per fare un esempio, i bisessuali: mai incontrate persone con così pochi amici!

Anche tra gay e tra lesbiche c’è un’innegabile attrazione fisica, ma ciò non rende l’amicizia con lo stesso sesso meno valida agli occhi della società. Né a vostra madre, al parente qualsiasi, al tizio che abita sotto di voi di cui non sapete nemmeno il nome, passerà per la mente come prima ipotesi che abbiate una fantomatica relazione con quell’amico del vostro stesso genere che vi portate sempre dietro.

Le relazioni omosessuali valgono tanto quanto quelle eterosessuali. Di conseguenza, se le amicizie tra lo stesso sesso sono possibili, pur ammesso il “rischio” di un coinvolgimento amoroso, cosa c’è di diverso nelle amicizie tra generi opposti?

Bisogna normalizzare il concetto che l’attrazione amorosa e/o fisica non esiste solo nel binomio uomo/donna. A questo punto ci sono solo due possibilità: non stringere alcuna amicizia perché non importa il tuo orientamento, tu potresti innamorarti di me in qualsiasi momento. Oppure, capire che tra chiunque un’amicizia può nascere, cambiare o più semplicemente rimanere tale.

Alessia xx

panacea: rimedio portentoso