Oggi desidero tornare alle mie origini: nel lontano 2017, agli inizio del blog, avevo scritto la recensione per un film di Bollywood, Ram-Leela, un retelling di Romeo e Giulietta. Era il mio primo film bollywoodiano, ed è risaputo che la prima volta non si scorda mai. Se non avete mai visto un film di Bollywood, forse non ne conosce la caratteristica più iconica… e no, non parlo delle musiche e dei balli, ma della lunghezza di queste pellicole: dalla due ore in su. Ma non spaventatevi, perché con il film giusto quelle due ore passano che è un piacere! Il film Queen mi ha prima di tutto sorpresa: lo sviluppo della trama, i legami tra i personaggi… E’ difficile che un film mi sorprenda tanto da spingermi a parlarne, ma questo è il caso di Queen.
Protagonista del film è Rani (il suo nome significa “regina”, come il titolo del film). Rani è una ragazza di Delhi cresciuta in una amorevole famiglia, legata sì alle tradizioni, ma allo stesso tempo comprensiva. Manca pochissimo al matrimonio tra Rani e Vijay, e attraverso una serie di flashback sono raccontati i momenti più salienti della loro conoscenza, agevolata anche dalla conoscenza tra le due famiglie. Insomma, tutto sembra andare per il verso giusto… ma il giorno prima del matrimonio (e immaginiamo quanto i matrimoni indiani siano elaborati) Vijay decide di lasciare Rani con una serie di scuse: lui vuole viaggiare, andare all’estero, mentre lei è troppo tradizionale.

Distrutta dalla notizia e imbarazzata di fronte a tutti i suoi parenti, Rani si barrica in camera, circondata dagli ormai inutili regali di nozze e dal pensiero dei suoi progetti futuri… E’ forse un lampo di lucidità, quello che attraversa la mente di Rani, o forse un sano egoismo: ciò che attendeva più di tutto era andare in viaggio di nozze e adesso… non solo non si sposa, ma dovrebbe perdere anche questa possibilità? No, pensa Rani, quello era il mio sogno, e me lo riprendo! E in fondo, è stato già tutto pagato, perché non farlo? Io non la biasimerei di certo!
Dunque, Rani parte, tra la preoccupazione dei genitori, ma anche il loro sostegno. Le sue destinazioni sono due splendide città europee, Parigi e Amsterdam, un viaggio che Rani inizierà in solitaria, spaventata sia per non essere mai stata prima all’estero, sia per la barriera linguistica, ma che concluderà portandosi nel cuore quattro nuovi amici di diversa nazionalità e nuove consapevolezze.
L’aspetto più bello del film sono proprio i legami che Rani stringe con i suoi temporanei compagni di viaggio. La sua prima conoscenza nella sconosciuta Parigi sarà una ragazza disinvolta di nome Vijayalakshmi (che, per sfortuna di Rani, si fa chiamare con il diminutivo Vijay, che le ricorderà proprio il suo ex fidanzato), che lavora come cameriera nel suo albergo. Nella seconda tappa, invece, ad Amsterdam, per una serie di vicissitudini Rani sarà costretta ad alloggiare in un tipico youth hostel e a condividere la camera con tre ragazzi internazionali: Taka dal Giappone, Tim dalla Francia e Oleksander dalla Russia. Titubante e diffidente all’inizio, pian piano Rani si apre a queste persone, condividendo parte dei rispettivi viaggi e vite.


Seguire Rani nel suo viaggio mi ha fatto venire una voglia matta di andare in Interrail, non solo per visitare le città e le sue bellezze, ma anche per incontrare persone di altre nazionalità unite dalle stesse circostanze del viaggio: sconosciuti che si incontrano solo per un breve momento e solo per caso, lasciando però un segno importante. Molto poetico, forse utopico, ma è ciò che questo film mi ha trasmesso.
Un aspetto interessante del film è che Rani conosce poche parole in inglese, e per questo motivo fatica a comunicare. Questo sarebbe potuto risultare in un film lento ed estenuante per lo spettatore, di fronte a una protagonista che non riesce a parlare con gli altri personaggi. Invece no: il film esprime questa barriera linguistica, ma senza renderla una barriera alla visione del film in sé. Questo è particolarmente interessante per le scene di Amsterdam, dove Rani si trova “linguisticamente” sola per la prima volta, quando invece a Parigi aveva avuto sempre la compagnia della connazionale Vijayalakshmi, e inoltre i tre ragazzi con cui fa amicizia sono di nazionalità tutte diverse.
La parte ambientata ad Amsterdam è proprio la mia preferita: Rani e i suoi amici parlano un inglese maccheronico, parlano a gesti e per immagini, eppure riescono a capirsi e a organizzarsi per fare tante cose insieme: andare a un concerto, partecipare a una gara di cucina… Quello che ne emerge è una amicizia sicuramente temporanea, legata al tempo limitato che possono condividere, ma in cui ognuno mostra le parti più importanti di sé, che risultano anche essere elementi in comune: la mancanza dei genitori lontani, il sostegno durante i momenti di difficoltà e il superamento di alcune ferite.

Un’ultima cosa che vorrei segnalare, infine, è la rappresentazione dell’italianità. Infatti, Rani incontrerà il proprietario di un ristorante italiano ad Amsterdam. I due si incontrano in una circostanza conflittuale: dopo aver ordinato un piatto italiano, Rani afferma di trovarlo poco saporito e vorrebbe aggiungerci più spezie, scatenando ovviamente lo sdegno del cuoco italiano. Nonostante questo personaggio sia secondario, ho davvero apprezzato la sua rappresentazione. Certo, è uno stereotipo, ma secondo me si tratta di uno stereotipo a cui siamo quasi affezionati: l’italiano fermamente convinto che la sua sia la cucina migliore del mondo. A questo si aggiunge anche il fatto che l’attore che lo interpreta è un vero italiano (cosa non scontata): parla inglese con un accento molto credibile e gesticola proprio come un italiano! Insomma, non mi aspettavo proprio questo personaggio, ma sono rimasta davvero sorpresa!

Il viaggio di Rani si conclude con una maggiore consapevolezza di ciò che c’è lì fuori, ma anche di cosa si dimostra essere importante per lei, alla fine di tutto. Queen mi ha commosso, divertito, ispirato. Vi consiglio vivamente questo film e fatemi sapere la vostra!
Alessia