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La tranquillità del ciottolo

Una delle frasi meme che più mi fanno ridere, e che trovo particolarmente utilizzabile anche nella vita reale, è una citazione da Phineas e Ferb, che forse avrete già letto in giro e dice: if I had a nickel for every time [a thing happened], I’d have two nickels, which isn’t a lot, but it’s weird that it happened twice. Proprio in virtù di questa frase meme, mi sono convinta a scrivere l’articolo di oggi, perché per ben due volte mi sono ritrovata di fronte a una metafora che avesse a che fare con… i ciottoli.

Ma perché i ciottoli? Spesso ho trovato il ciottolo utilizzato come metafora per rappresentare uno stato di quiete e immobilità pacifica e, per quanto possa sembrare strano – addirittura un po’ da svitati – credo che di tanto in tanto faccia bene immedesimarsi in questo ciottolo ideale.

Faccio un passo indietro e vi do un po’ di contesto per questa riflessione. Da un anno pratico yoga quasi tutti i giorni. Mi alleno a casa e – lo ammetto con sincerità e con fierezza – di solito lo faccio in pigiama prima di andare a dormire. Lo yoga per me ha rappresentato la svolta nella mia attività fisica. Ho sempre voluto allenarmi, ma odiavo andare in palestra e anche gli allenamenti in casa con le serie di addominali e squat proprio non facevano al caso mio… non sono mai riuscita a superare la prima settimana.

Poi, ho scoperto lo yoga. L’ho scoperto in un momento in cui cercavo un modo – qualsiasi modo – per allentare il nodo che provavo in gola e in petto. Ho iniziato a seguire il canale Yoga With Adriene, che consiglio vivamente, qualunque sia il vostro livello di preparazione fisica. Ho imparato ad amare lo yoga e a divertirmi ogni volta che mi srotolavo il tappetino e avviavo la lezione.

Come dice sempre Adriene, the hardest part is showing up on the mat, la parte più difficile è proprio quella di prendere il tappetino, srotolarlo a terra e presentarsi a lezione. Penso spesso a questa frase, decontestualizzata. La parte più difficile nella vita è presentarsi ed essere presenti, che è anche la parte più importante… nelle nostra relazioni con noi stessi e con gli altri. Nessun gesto vale di più della presenza.

Fatto questo, seduti sul tappetino, lo yoga è lo sport più facile del mondo. E non perché sia facile a livello pratico, ma perché con gentilezza si adatta ai corpi di tutti. Lo yoga è una pratica gentile, fatta di introspezione e di respiri profondi, di momenti in cui ci si ripiega su se stessi e altri in cui si tira in alto la testa per guardare con l’occhio della mente qualcosa da raggiungere. Inoltre, una cosa bellissima che ho notato è che lo yoga non mi stanca, non mi fa faticare e per questo è possibile allenarsi anche mezzora ogni giorno e vedere i risultati.

Certo, ogni tanto un minimo ci si sente tirare e bruciare i muscoli, ma tutto in amicizia! Nonostante non faccia soffrire, vi posso garantire che lo yoga ha i suoi effetti: adesso ho dei bei bicipiti (e quando sono davanti allo specchio, mi diverto a flexarli ridendo come una scema), riesco a tenere i plank per molto più tempo e a toccare ben oltre la punta dei piedi. Dette così, sembrano cavolate, ma sono soddisfazioni e prima di ridere della mia scarsa flessibilità… provate voi a toccarvi la punta dei piedi e vediamo un po’!

Ci sono anche benefici per la mente e l’umore. Lo yoga pone molta enfasi sulla respirazione e così, quando mi rendo conto di star respirando in modo “superficiale” o di star trattenendo la tensione in qualche parte del corpo, mi prendo un attimo per fare dei respiri profondi. Non è magia, è solo maggior consapevolezza. Respirare più profondamente non cura l’ansia, ma aiuta a sopportarla. Lo yoga aiuta a guardare la situazione dall’esterno e prendere tempo: molte volte quando ero turbata ho scelto di smettere per un attimo di pensare e di fare una sessione di yoga per concentrarmi sugli esercizi e sulla respirazione e mettere un po’ di distanza tra me e quella preoccupazione.

Infine, lo yoga mi fa sorridere. La parte migliore è la fine dell’allenamento, che si solito finisce distesi a pancia in su. Allora, prende il sopravvento una parte infantile di me (anzi, forse una parte che nemmeno da bambina facevo uscire, visto che avevo paura anche di fare le capriole), e inizio a rotolarmi all’indietro o a provare qualche posizione particolare che ancora non mi riesce, prima di ribaltarmi malamente per terra. E mi viene da ridere, da sola nella mia stanza, mi sento felice di usare il mio corpo in questo modo.

Ma tutto questo… cosa c’entra con i ciottoli? Una delle posizioni che non mi aveva mai ispirato era la posizione del fanciullo o balasana. Ci sono diverse varianti di questa posizione e quella che preferisco è la versione estesa, con le braccia in avanti (figura 1), mentre quella che non mi piaceva era la posizione del fanciullo tradizionale, con le braccia tirate indietro (figura 2).

La posizione tradizionale, a destra, non mi piaceva finché, durante una lezione Adriene (la ragazza dei video di cui parlavo prima) non ha fatto un paragone proprio con un ciottolo. Disse qualcosa di simile: immaginate di essere un ciottolo sulla riva di un lago e di sentire le onde leggere che accarezzano il vostro corpo seguendo il ritmo del respiro. Al sentire queste parole, ho immaginato la scena e per la prima volta ho visto un senso in questa posizione, che fino a quel momento non mi aveva trasmesso nulla.

L’idea di essere un ciottolo che se ne sta semplicemente lì, immobile. Rimanere così per una manciata di secondi, con la testa china sul tappetino e il rumore del proprio respiro che si risuona nello spazio tra il volto e il petto. Le braccia lungo i fianchi, tirate indietro, quasi a volersi arrotondare nella forma di un ciottolo. Con l’occhio della mente, immagiamo di essere un ciottolo senza pretese, senza scadenze, senza aspettative.
Può sembrare deprimente, ma in realtà è un pensiero che dona tranquillità. Certo, la vita deve andare avanti, ma per un attimo ci si può rivolgere dentro se stessi (letteralmente a livello fisico) e ascoltare il silenzio attorno, percepire il tempo che passa e capire che non accade nulla di spaventoso se ci fermiamo per un po’, al contrario di quanto crediamo di solito, tutti presi dal fare. Che non stiamo rimanendo indietro da nulla, che siamo lì dove dobbiamo essere in quel momento.

La seconda volta che ho incontrato una metafora sui ciottoli è stato per lavoro. Infatti, ho collaborato alla traduzione italiana di un videogioco che si chiama Froggy Pot (e se siete arrivati a leggere fin qui, credo che quel gioco faccia al caso vostro). La protagonista di questo gioco è Froggy, una ragazza vestita da ranocchia, che si trova a mollo in una pentola che pian piano inizia a bollire. Chiara ispirazione è la cosiddetta “sindrome della rana bollita”, descritta da Peter Senge:

Se mettiamo una rana in acqua a temperatura ambiente rimarrà calma. Quando la temperatura sale da 21 a 26 gradi Celsius, la rana non fa nulla e sembra persino divertirsi nell’acqua. Con l’aumentare della temperatura, la rana è sempre più stordita e alla fine non riesce più ad uscire dalla pentola. Anche se nulla lo impedisce, la rana resterà lì e morirà bollita.

Questo gioco racconta le paure di Froggy nel sentirsi inadeguata, la difficoltà nel reagire dopo la morte di una persona cara, così come la felicità che ci possono dare le piccole cose. I pensieri negativi, come acqua che bolle lentamente, paralizzano Froggy. Il giocatore, che ha la possibilità di guardare con occhio critico questa situazione dall’esterno, può aiutare Froggy a capire che non tutto è perduto e che può ancora uscire dalla pentola e vivere, un giorno alla volta, senza paragoni o pretese.

E a un certo punto, il gioco dice così:

La prima volta che incontrai queste frasi, mi parve bizzarro. Ecco il mio secondo nichelino, che non è molto, ma è strano che sia capitato due volte, no? Ci deve essere qualcosa in questo famoso ciottolo che ispira serenità. Anche la parola stessa… ciottolo… quanto è bella, una parola da abbracciare.

Ogni tanto, quindi, penso ai ciottoli sulla riva di un lago o di una spiaggia e l’immagine mi trasmette calma. Spero che anche per voi sia così. Spero di aver condiviso con voi questa prospettiva curiosa che già altre persone avevano percepito e trasmesso, ognuno attraverso i propri mezzi, come una lezione di yoga o un videogioco. Il mondo è davvero piccolo e a volte percepiamo le stesse cose, anche se siamo persone diverse in luoghi diversi.

Vi invito a dare una chance allo yoga, come sport, come passatempo, come antistress: può essere qualsiasi cosa vi serva, ma sono sicura che aggiungerà qualcosa di valore alle vostre giornate. E vi consiglio anche di giocare a Froggy Pot accompagnati dalla traduzione italiana del mio team di lavoro :D

Alessia

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Consuetudini e gabbie mentali

Una settimana fa ho iniziato l’università e ho deciso di seguire le lezioni di diritto internazionale. Una delle prime nozioni che abbiamo appreso è che la prima fonte di norme è la consuetudine. Cos’è la consuetudine? È un comportamento che si ripete reiteratamente nel tempo, ritenendo che sia giusto e necessario.

È consuetudinaria anche la nostra vita: ci creiamo delle abitudini e dei modi di fare che permettono di distinguere tra situazioni che sono “da noi” e altre che non lo sono.

Le consuetudini non sono negative di per sè. Ci aiutano a orientarci nell’infinita possibilità di scelta (come ci insegna il vecchio Kierkegaard), ci aiutano a tracciare una linea di condotta. Di fronte a una situazione potremmo potenzialmente reagire in qualunque modo: decidiamo quindi di farlo nella maniera che ci fa sentire più a nostro agio, che diventa il nostro modo di essere.

Agli occhi degli altri, e soprattutto agli occhi di noi stessi, è così che nascono le etichette. Mi sono sentito sopraffatto da quella festa chiassosa? Devo essere un introverso. O invece mi sono sentito pieno di energie in mezzo a tutta quella gente? Allora sono un estroverso. Il problema delle etichette è che sono armi a doppio taglio: ovviamente ne abbiamo bisogno perchè altrimenti non avremmo una vaga idea di chi siamo, ma non dobbiamo farci ingabbiare. Nel 2018 è bell’è superata la dicotomia introversione/estroversione e sappiamo che è uno spettro fatto di eccezioni.

Sì, perché se da un lato è vero che noi umani abbiamo delle abitudini, dall’altro abbiamo anche il concetto dell’ “eccezione che conferma la regola”. Quindi, l’introverso di turno  avrà un momento di estrema estroversione quando scoprirà che il suo artista preferito farà tappa in Italia. E potete giurarci che non avrà più alcun timore a parlare con gli estranei pur di raggiungere il suo obiettivo. Non sarà un comportamento “da lui/lei”, ma a quanto pare è proprio l’eccezione che conferma la regola.

Le consuetudini però possono diventare obsolete, e noi dobbiamo fare qualcosa per accorgercene, altrimenti rischiamo di perdere tempo con cose che non ci interessano più. Oppure di scartare cose interessanti solo perché diamo per scontato che, non essendoci piaciute in passato, non possono piacerci adesso.tumblr_okt76thqgQ1vkadpmo1_500Alcune consuetudini sono più facili da infrangere. Altre, quelle che soprattutto hanno a che fare con i legami personali (e l’orgoglio) un po’ meno. Bisogna pensare alle abitudini come a delle gabbie: di alcune abbiamo lasciato la porta aperta e possiamo uscire dalla confort zone quando vogliamo. Di altre possediamo la chiave e se volessimo, potremmo cambiare abitudine (certo che ho della frutta in frigo, è che scelgo di non mangiare più sano).

Altre gabbie/abitudini, invece… Beh, funzionano come dice il nome stesso. Queste sono le vere stronze, le cattive abitudini in cui ci crogioliamo. Ma non è colpa nostra se lo facciamo: abbiamo le nostre ragioni, o le avevamo, in passato. Il problema è che ci siamo aggrappati ad esse, elevandole a nostro stendardo. Trasformandole in pilastri su cui costruiamo alcuni aspetti della nostra vita.

Un esempio di una gabbia/abitudine del genere è il rancore che possiamo serbare per anni. Quell’amico che non ci ha mai chiesto per primo di uscire (e quindi neanche io glielo chiederò più. Ci sto male, ma… non posso essere sempre io la scema, no?). Il genitore che non si è interessato di noi (e no, non mi importa che io non ho abbia chiesto della sua giornata. Il punto è che lui/lei non ha mai chiesto della mia).

È tutto molto illogico, visto dall’esterno, ma è umano. Se siamo arrabbiati, non possiamo controllarci, né essere giusti nei confronti degli altri. Altrimenti non saremmo arrabbiati.hhhCosì il rancore, l’ingiustizia, l’insoddisfazione che abbiamo provato una volta si trasformano in abitudini. E la verità è che siamo noi stessi a volerlo, più o meno consapevolmente. Speriamo che quell’amico declini il nostro invito a uscire solo perché così possiamo provare a noi stessi che “ecco, è lui l ingrato, io sto facendo la mia parte”. E per quanto vorremmo che il nostro genitore ci chieda di noi, rigettiamo l’idea di aprirci a loro perché “non funziona così tra noi”.

Questo tipo di gabbie, non possiamo aprirle da soli: abbiamo bisogno di un occhio esterno per distanziarci dalle abitudini che ci impediscono di fare, dire, reagire come ci pare adesso, e non in virtù del passato. (Al momento mi sento profonda attaccata da tutto ciò che io stessa sto scrivendo lol)

Dobbiamo resettare. Orribile, vero? Cambiare direzione per capire da dove soffia il vento. Per tutto questo tempo abbiamo creduto di sentire il vento in faccia, quando invece aveva cambiato direzione.

Non è una bella sensazione, cambiare la direzione che abbiamo seguito per tutto questo tempo. Anche quella è una comfort zone, per quando ci provochi sconforto per tutti i sentimenti negativi a cui si ispira.

Abbiamo bisogno che altri ci pongano le giuste domande, e quelle sfortunate persone saranno oggetto della nostra seccatura (ehi, ho detto che volevo un consiglio, ma era implicito il fatto che fossi d’accordo con me!).

 

Una volta in cui mi stavo lamentando di quanto mia madre fosse irragionevole nel continuare ad arrabbiarsi per mie mancanze del passato, un mio amico mi ha detto “ma… tu ti stai comportando allo stesso modo, non credi?”. E io sono rimasta lì, sentendomi un pochino tradita da quelle parole, perché non mi era stata data ragione. E come in un moment of consciousness ho pensato “o mio dio, è vero”. Dal mio amico volevo una risposta che fomentasse il mio rancore e che lo giustificasse come lo giustificavo io… invece ho trovato un grande segnale di alt.

Questo non significa che dal giorno successivo ho trovato una soluzione ai conflitti famigliari o che metterò una pietra sopra su tutto il passato. Ma quando il conflitto accade… si, va bene, magari ci ricasco. Devo ancora imparare. Ma la vedo. Adesso vedo quella stronza di abitudine, lì, piccolina nel suo angolino di cervello. È già un passo.

Breccia è stata fatta. La gabbia/abitudine è stata aperta, ma solo chi c’è dentro può decidere di uscire. Creeremo una nuova consuetudine con più eccezioni e più libertà, magari con l’orgoglio un po’ ferito.tumblr_ofrtic8GV81tsd4fto1_500

Cresciamo affettuosamente legati alle nostre abitudini, al punto da considerare quelle abitudini non-così-buone come giuste e familiari, trasformandole in pilastri per la nostra vita. Bene, adesso mettete alla prova a vostra casa, permettete  di indicarne le crepe (con rispetto, eh). La soluzione sarà lunga da trovare, ma per adesso non riuscirete a non-vedere le crepe e a non-considerare l’illogicità di alcuni modi di fare.

 

Alessia