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Friendly reminder: stay decent

Una donna è appena entrata nella nostra classe. Suppongo sia la nostra prof, ma l’aula non si direbbe il suo habitat naturale, piuttosto la potresti incontrare seduta su una rampa da skateboard, a discutere di filosofia. Probabilmente le sorriderei – come faccio adesso, anche se un po’ sorpresa – perché tutto – dai suoi capelli asimmetrici alle grandi ali tatuate dietro la schiena – mi ispira fiducia e non saprei dire nemmeno perché.

«Cerchiamo di essere persone decenti»

Queste sono state le prime parole di Beth.
Le più belle parole dette da una persona vera, e non dall’eroe di un libro o da una canzone hippie. Beth parla, seduta sulla cattedra, di inclusione e di rispetto.

«Qualsiasi sia la persona in cui l’altro si identifica, noi abbiamo il dovere di rispettarla»

Una filosofia tanto semplice che verrebbe da pensare che non sia poi una così grande rivelazione: ha scoperto l’acqua calda.

Non si parla mai di quanto sia importante il rispetto, mai una volta in ambito quotidiano o almeno – mai abbastanza: forse perché abbiamo mille altre preoccupazioni e poco tempo per pensarci o forse perché ci sembra così scontato che non ha senso preoccuparsene.
La tua libertà finisce dove inizia la mia. Questo lo sanno tutti e tutti sanno come comportarsi.

A volte, però abbiamo bisogno di sentircelo dire. Come un figlio che si sente dire «Copriti bene!» anche se ha vent’anni e sicuramente sa come abbottonare un cappotto.
«Mamma, per favore» si lamenterà esasperato, controllando un’ultima volta i bottoni – solo per sicurezza.

La stesso vale per Beth: non ci ha insegnato il rispetto, ce l’ha ricordato.
Ho davvero apprezzato le sue parole, così tanto che mentre l’ascoltavo mi veniva da piangere. In quel momento ho realizzato da quanto tempo stessi aspettando qualcuno che mi parlasse di questo. Che ne parlasse seriamente, ma non come fosse un dovere, piuttosto come una dimostrazione di affetto.

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Alessia xx

rodomontata: prepotenza, bravata (da un personaggio dell’Orlando Innamorato)

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Stonata, ma poliglotta?

«Se avessi un solo desiderio, cosa desidereresti?»

Fino a un anno fa avrei risposto «essere almeno un poco intonata» perché, passi “tanti auguri a te”, per il resto del mio repertorio non c’è via di salvezza. Adesso, invece, ciò che desidero veramente è parlare, scrivere e comprendere più lingue, come il francese, lo spagnolo e il giapponese.

Per questo, quando ho avuto la possibilità di frequentare per una settimana la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici a Pisa in men che non si dica ho prenotato l’autobus (per la bellezza di 16 ore di tortura viaggio) e mi sono catapultata a Pisa con il mio bel cartellino da “Visitatore” appeso al collo.

La nostra prima lezione è stata Traduzione audiovisiva (non che il nome spieghi molto): in pratica, sottotitolaggio e doppiaggio di Peppa Pig.

Può sembrare semplice e imbarazzante, ma quando devi tradurre «who buys all this rubbish?» e la prima traduzione che ti viene in mente è «chi compra tutta questa merda?», ma non puoi assolutamente scriverla perchè devi pensare ai bambini!… Lì capisci come anche la traduzione di Peppa Pig non sia poi così scontata.

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Una lezione particolarmente strana è stata Mediazione linguistica orale, ovvero come i traduttori in diretta dei talk show. La generale idea di fare una traduzione del genere era inverosimile soprattutto perché (scientificamente provato) avremmo dovuto usare simultaneamente i due emisferi cerebrali, per ascoltare e tradurre all’istante (o quasi).

Con molta probabilità i miei emisferi sarebbero collassati (ma gli interpreti professionisti possono tradurre simultaneamente solo per mezz’ora, quindi il mio noncollasso è giustificato).

Indossando le cuffie, dovevamo ripetere ciò che la prof leggeva – nel momento stesso in cui leggeva – e contemporaneamente scrivere numeri in ordine decrescente.
Inutile dire che le nostre serie contavano più numeri del dovuto, e neanche nell’ordine giusto 😌

La regina della nullafacenza (Conversazione) si è rivelata invece la lezione migliore in assoluto: nessun innovativo metodo d’insegnamento, solo conversazione. Ma quando a parlare è una persona decente come Beth, ognuno trova un poco di coraggio per dire la sua.

Questa settimana a Pisa ha reso un po’ più possibile il mio famoso desiderio: non so ancora scrivere in giapponese e tutto ciò che capisco quando ascolto il francese è un gorgoglio di erre e in verità non ho alcuna certezza di poter studiare in quella scuola, ma so che potrei realizzarlo. Anche se non frequento un linguistico, anche se ci sono così tante parole che non conosco e che non so nemmeno pronunciare.

Perché ho capito che è quello che vorrei fare: scegliere le parole giuste per tradurre quei libri che ho letto in lingua – libri bellissimi da non smettere di leggerli – e farli conoscere a chi non si sognerebbe mai di leggere in una lingua straniera.

Più semplicemente, sono fan (di un numero spropositato di cose), e so quanto sia importante una buona traduzione: magari potrei essere d’aiuto.

Alessia xx

nottivago: una persona che vaga di notte o che è sonnambulo